Giuseppe Flavio latinizzato
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Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 66.1
Tipo di scrittura: beneventana cassinese
Tipo di scrittura adottato da Boccaccio: littera textualis
Provenienza: Montecassino
Datazione: XI secolo
Dimensioni: mm 470 x 351 (356 x 249)
Carte: III + 338 + III’
Contenuto:
Iosephus, Titus Flavius, Antiquitates Iudaicae latinizzate (cc. 1ra-254vb)
Iosephus, Titus Flavius (trad. Egesippus), De bello Iudaico latinizzato (cc. 255ra-338vb)
Bibliografia:
Boccaccio autore e copista, pp. 357-359 (D. Speranzi); Autografi, p. 54 (Fiorilla-Cursi)
Link della riproduzione: https://tecabml.contentdm.oclc.org/digital/collection/plutei/id/1313372/rec/1
Descrizione:
Il codice fu confezionato a Montecassino nella prima metà dell’XI secolo, ai tempi, probabilmente, dell’abate Teobaldo (1022-1035). Contiene la versione latina ‘cassiodorea’ delle Antinquitates Iudaicae di Giuseppe Flavio, in passato tradizionalmente attribuita a Rufino d’Aquileia, e la versione-rifacimento del De bello Iudaico del cosiddetto Egesippo. Si tratta del postillato con il maggior numero di annotazioni di Boccaccio, 1127, segno di una lettura molto attenta dell’opera, almeno per alcune parti. L’interesse la narrazione storica di Giuseppe Flavio si spiega con la possibilità di stabilire un parallelismo e un confronto con la Sacra Scrittura, in particolare con i primi libri del Vecchio Testamento. Si tratta perlopiù di annotazioni marginali (più raramente interlineari) con la funzione di notabilia, che scandiscono il testo delle Antiquitates mettendo in rilievo nomi di persone o di luogo, oppure sunteggiando i passi. Le postille boccacciane si riferiscono soprattutto ai libri I-III; sono più diradate al libro IV, per cessare quasi del tutto nei libri successivi: si registra una sola postilla al libro VI. Si segnalano le maniculae alle cc. 18rb (con graffa), 19va (con la postilla Nota et bene), 21ra, 26va, 27rb (con graffa), 34ra, 43rb, 43vb, 52rb, 52va, 102rb (con graffa). A Boccaccio sono ricondotti anche tre disegni: un tralcio di vite con grappolo d’uva (c. 20rb, , con poco dopo la postilla Nota de vino), la testa di Abramo (c. 11vb, preceduta dalla postilla Abraam filio Ysaac piissime loquitur) e quella di Mosè, rappresentato con le corna (c. 43rb). Curiose le annotazioni di taglio linguistico, con parallelismi tra le lingue: c. 3ra ‘Sabbatum’ ebraice’, ‘requiem’ latine; c. 41va ‘Cinthares’ hebraice, ‘talentum’ latine. Non mancano interventi di natura filologica; in due casi è segnalata una lacuna: a c. 10vb mediante l’annotazione c(redo) hic deficiat, accompagnata da una crocetta, usata per indicare un problema testuale irrisolto; analogamente a c. 28rb Boccaccio annota c(redo) deficiat hic. In altri due casi sono proposte congetture per luoghi testuali in cui è ravvisata una corruttela: c. 22vb c(redo) ‘aureum’ (a sanare la lezione improponibile arteum); c. 29ra c(redo) ‘cunctis’ (per ovviare a una parola che, a causa dell’inchiostro caduto, appare pressoché illeggibile, con visibili solo le lettere -nc). Non si riscontrano casi di lezioni alternative precedute da
Al., come invece capita di trovare in altri codici. L’ipotesi più accreditata è che Boccaccio abbia visionato per la prima volta il codice nel 1355, anno della visita a Montecassino e della clamorosa scoperta di Varrone, De lingua latina, e della Pro Cluentio di Cicerone, il ms. Firenze, BML, Plut. 51.10. Va ricordato che dal 1355 al 1357 risiedette presso San Germano, l’attuale Cassino, Zanobi da Strada, in qualità di vicario del vescovo Angelo Acciaiuoli. Fu forse questo sodale di Boccaccio, peraltro insignito dell’alloro poetico, che forse aiutò il Certaldese ad accedere agli antichi esemplari di Montecassino. A differenza di quanto si è creduto in passato, non vi sono però annotazioni di Zanobi in questo codice. Il vetusto codice non fu probabilmente, come altri esemplari in beneventana, un codice della biblioteca privata del Certaldese, che costituì il lascito pervenuto a Santo Spirito per volontà espressa nel testamento. Ebbe però modo di studiarlo e annotarlo per lungo tempo. La nota sul margine superiore della c. 338va attesta che il codice già nel 1398 era in Toscana, in quanto è segnalato che ricevette una nuova legatura a Cafaggiolo, nei pressi di Barberino del Mugello: «Iste liber Yhosephi fuit religatus manu ser Martini Munaldi de Perusio anno Domini M° CCC° LXXXXVIII die XXVI setembris in Cafagiolo».