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Il Testamento di Giovanni Boccaccio

Il testamento di Giovanni Boccaccio fu dettato nella chiesa di Santa Felicita a Firenze, il 28 agosto 1374, al notaio fiorentino ser Tinello del fu ser Bonasera da Passignano e alla presenza di più testimoni. Egli decise di essere sepolto, se la morte lo avesse colto a Firenze, nella chiesa di Santo Spirito e, se fosse spirato a Certaldo, nella chiesa di Sant’Iacopo. In questo documento, Boccaccio esprime i suoi desideri riguardo alla distribuzione dei suoi beni materiali e spirituali. Il testamento evidenzia anche la sua intenzione di supportare la chiesa e di fare donazioni per l'anima sua, in conformità con le pratiche religiose medievali: egli lasciò fondi per le messe e per le preghiere che venissero fatte per lui dopo la morte e predispose diverse elemosine, ad esempio per la chiesa di Santa Reparata e anche per la costruzione delle mura di Firenze. Boccaccio dispose una serie di legati, il primo dei quali a favore di Bruna, sua domestica a Certaldo. A lei lasciò mobili, biancheria e abiti, con l’obbligo per i suoi esecutori testamentari di pagarle l’eventuale salario dovutole al momento della morte di lui. Istituì come suoi eredi universali Boccaccio e Antonio, figli del fratello Iacopo. Pose però delle condizioni tra cui quella, fino a che vi fosse stata discendenza sia legittima che illegittima di Boccaccio di Chellino e Iacopo di Boccaccio, di non poter mai vendere la casa nel popolo di Sant’Iacopo di Certaldo sulla via pubblica detta “Borgo”.

È noto come nel suo testamento Boccaccio sia stato particolarmente meticoloso nelle disposizioni relative al suo patrimonio librario:

Item reliquit venerabili fratri Martino de Signa, magistro in sacra theologia conventus Sancti Spiritus ordinis Heremitarum sancti Augustini, omnes suos libros excepto breviario dicti testatoris, cum ista condicione: quod dictus magister Martinus possit uti dictis libris et de eis exhibere copiam cui voluerit donec vixerit, ad hoc ut ipse teneatur rogare Deum pro anima dicti testatoris et tempore sue mortis debeat consignare dictos libros conventui fratrum Sancti Spiritus sine aliqua diminutione, et debeant micti in quodam armario dicti loci et ibidem debeant perpetuo remanere, ad hoc ut quilibet de dicto conventu possit legere et studere super dictis libris, et ibi scribi facere modum et formam presentis testamenti et facere inventarium de dictis libris.

[Trad.: Parimenti ha lasciato al venerabile frate Martino da Signa, maestro in sacra teologia del convento di Santo Spirito dell’ordine degli Eremitani di Sant’Agostino, tutti i suoi libri eccetto il breviario del detto testatore, con questa condizione: che il detto maestro Martino possa usare i detti libri e darne copia a cui volesse, finché vivrà, affinché egli stesso sia tenuto a pregare Dio per l’anima del detto testatore e della al momento della sua morte consegnare i detti libri al convento dei frati di Santo Spirito senza alcuna decurtazione, e debbano essere messi in un certo scaffale del detto luogo e lì debbano rimanere per sempre, affinché chiunque del detto convento possa leggere e studiare sopra i detti libri, e lì far scrivere il contenuto e la forma del presente testamento e fare l’inventario dei detti libri].

In questo legato relativo ai propri libri si nota che Boccaccio li lasciò tutti, ad eccezione del breviario, senz’altro il proprio libro di preghiera, al frate Martino da Signa, teologo del convento fiorentino di Santo Spirito dell’ordine degli Eremitani di Sant’Agostino. Stabilì con precisione la condicio del lascito, vale a dire che il magister Martino, finché in vita, potesse farne uso e darne copia a chiunque volesse; come ricambio per il dono il Certaldese chiedeva preghiere di suffragio per la propria anima. Il significato dell’espressione exhibere copiam, alla lettera ‘mostrare la copia’, si chiarisce con la resa nella versione volgare del testamento: «far copia ad qualunque persona li volesse di quegli libri». È chiara l’intenzione boccacciana di mettere a disposizione, vale a dire prestare i libri per consentire che ne fosse tratta copia, per darne divulgazione.

Alla morte di Martino i libri dovevano essere consegnati al convento di Santo Spirito, l’istituzione a cui il frate apparteneva. Significativa la raccomandazione, che non vi fosse alcuna riduzione di numero, sine aliqua diminutione, e che fossero messi in un armadio del detto convento. L’aggettivo indefinito quodam lascia intendere una certa genericità della sede, e l’uso del singolare armarium lascia pensare che questo patrimonio librario fosse piuttosto esiguo. Il convento di Santo Spirito doveva comunque essere la sede definitiva dei libri posseduti da Boccaccio: ibidem debeant perpetuo remanere. È indicato con estrema chiarezza lo scopo di questa disposizione: affinché potessero essere consultati da ciascuno - anche qui il ricorso all’indefinito quilibet - di quel convento. È significativo constatare come Boccaccio avesse piuttosto chiara l’idea dell’utenza dei libri della sua biblioteca personale: i frati di un convento. Chiedeva infine di fare trascrivere modum et formam, vale a dire il tenore del testamento, e infine che fosse redatto a Santo Spirito l’inventario dei libri del suo lascito. Queste ultime disposizioni mostrano attenzione all’integrità di questo suo patrimonio librario: una copia del testamento doveva essere conservata nell’archivio istituzionale di Santo Spirito, in modo che rimanesse traccia, nero su bianco, delle disposizioni del testatore. L’inventariazione dei libri serve a definire la composizione di questa parte di quello che, con il lessico di oggi, costituisce l’asse ereditario, distinguendo i singoli elementi, che vengono classificati in modo omogeneo ed eventualmente valutati. Serve quindi come strumento di verifica della presenza o meno del singolo item: tale dispositivo risulta utile per beni, quali i libri, destinati ad essere prestati e non soltanto consultati in loco.

Si nota che Boccaccio è attento e sensibile al problema della divulgazione delle proprie opere, ma anche di quelle trasmesse dai suoi manoscritti. Ha un’idea chiara di chi avrà per le mani i suoi volumi: sono i frati di Santo Spirito che, auspica, possano leggere e studiare i suoi volumi. Si nota anche la percezione del rischio di una dispersione dei libri del suo lascito, per cui le indicazioni affinché ne fosse salvaguardata l’integrità. I suoi timori non erano infondati: è noto infatti il contenzioso tra Martino da Signa e gli eredi a proposito delle carte delle cosiddette Esposizioni, vale a chi spettassero «i ventiquattro quaderni e quattordici quadernucci tutti in carta bambagia, non legati insieme ma l’uno dall’altro diviso».


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